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martedì 25 maggio 2010

Enorme è la ricchezza del metodo

"Il significato etimologico di 'metodo', dal greco hodos, è quello di sentiero. Secondo una comune metafora sanscrita, parlare significa percorrere una via. E anche l'italiano discorrere e il latino percurrere fanno riferimento alla circostanza del cammino.
Vi è tuttavia una radice indoeuropea il cui significato indica a un tempo 'sentiero' e 'ventre': la radice yeu, da cui yoni (ventre) in sanscrito.
Il ventre è lo spazio della vita, il sentiero sul quale procede il seme o la parola della vita. Esso è anche il misuratore, la matrice che forma i corpi viventi secondo le rispettive giuste proporzioni, nutrendoli e portandoli alla luce.
Il metodo è come una matrice o un ventre. Esso è la femmina, il principio passivo dei manufatti e degli atti. Le regole da seguire in vista di raggiungere uno stato contemplativo (questo è l'obiettivo, ndr), che formano il suo metodo, sono la causa femminile o passiva.
Il loro principio maschile o seme o sprazzo o parola di vita è invece ciò che le porta a operare e a fruttificare. E' l'ispirazione o la spinta a innalzarsi al di sopra della comune condizione umana.
Nessuna nascita spirituale può avere luogo, nessuno stato contemplativo è raggiungibile fino a che un metodo tradizionale non venga assorbito, instillato e fatto proprio. Secondo la metafora ermetica: a meno che la luna non si congiunga al sole.
Altrimenti il metodo non solo rimane sterile ma si trasforma in una forma di infezione: di isteria - che etimologicamente è ventre malato.
D'altro canto, se il seme, o l'ispirazione o l'impulso a innalzarsi oltre i limiti dell'ordinaria vita umana è abbandonato a se stesso, diviene caparbio e fanatico, e si muta in una forza distruttiva: 'I gigli appassiti odorano peggio delle erbacce'.
L'uomo è costantemente tentato di cercare la vita spirituale o in un metodo auto-sufficiente o in qualche sorta di cieco rapimento traboccante di 'spontaneità' e di 'creatività', i due idoli di un' umanità irreparabilmente repressa." ( Zolla in Marchianò 1974: 98-99)

Queste parole di Zolla sono citate nel densissimo libro/studio/compendio di Matteo Casari: Teatro Nō - La via dei maestri e la trasmissione dei saperi, Bologna, CLUEB, 2008)

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